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Il saggio completa altri due studi sul Morgante di Pulci pubblicati da Paolo Orvieto per la Salerno Editrice: "Pulci medievale" (1978) e la monografia "Pulci" (2017). L'attenzione è concentrata soprattutto, ma non solamente, sugli ultimi quattro cantari del Morgante, in cui, per ragioni culturali e esistenziali, Luigi Pulci cerca, da un lato, di scardinare l'establishment culturale ficiniano, con la protratta e infamante traduzione allegorica di Marsilio Ficino, alias Marsilio re saraceno, e l'ulteriore identificazione del filosofo con il mago Malagigi, colpevole, appunto come Filino, di praticare una magia demoniaca. Dall'altro lato Pulci mette in scena un alter ego, Astarotte, che è ora un coltissimo teologo cristiano, agostiniano e tomistico, vero restauratore della genuina fede cattolica contro l'ermetismo pagano di Ficino. Una compiuta denuncia anche dell'astrolatria ficiniana, per cui l'influenza astrale determinerebbe ogni accadimento terreno, negando quindi sia la prescienza divina sia il libero arbitrio dell'uomo. Una serie di tableaux vivants che non sono più solo dell'entourage carolingio, ma, insieme, trasferiti di peso dalla palpitante realtà fiorentina. Allegorie che si estendono a Lorenzo de' Medici e a Pallante (Piero figlio di Lorenzo) e Lattanzio (Pulci stesso, che si identifica anche con Orlando morituro a Roncisvalle); e che, pur d'altro genere, coinvolgono i primi ventitré cantati: si ribadisce con altri accertamenti quella tra Morgante e Margutte e Bernardo Bellincioni e Antonio di Guido, qui reputato anche il possibile autore e falsificatore dell'Orlando laurenziano. Infine una revisione delle ipotizzate allegorie "morali" dei primi cantari del Morgante: nient'affatto edificanti, bensì dissacrazioni, ai limiti della blasfemia, delle più diffuse allegorie teriomorfe del cristianesimo.